Per lungo tempo il risarcimento del danno auto provocato da sinistro stradale si è attestato sul valore commerciale del veicolo ante sinistro, pertanto in quei casi in cui il costo di riparazione superava il valore commerciale che l’auto aveva al momento del sinistro, le compagnie assicurative si limitavano a corrispondere al danneggiato il solo valore del mezzo (c.d. risarcimento per equivalente).
Attenzione però, perché sul tema è tornata a pronunciarci la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 10686 del 23.01.2023, con la quale, richiamando un recente filone giurisprudenziale (Cfr. ex multis Cass. n. 10196/2022), la Suprema Corte ha chiarito, o meglio, ribadito a chiare lettere, che in caso di danni auto il cui costo di riparazione eccede il valore commerciale del mezzo ante sinistro, è comunque possibile ottenere il risarcimento del danno in forma specifica (cioè il rimborso del costo per il ripristino del veicolo) purché tale costo non risulti eccessivamente oneroso e la riparazione non comporti un aumento di valore del veicolo rispetto a quello prima del sinistro.
La Corte non chiarisce quale sia, in concreto, il criterio per stabilire se la riparazione abbia o meno comportato un “aumento di valore” del veicolo rispetto a quello ante sinistro, ma quel che appare assodato, sulla scia di quanto già in precedenza affermato dalla medesima Corte, è che il danneggiato abbia il diritto di vedersi rimborsato dalle compagnie assicurative il costo della riparazione del veicolo danneggiato in conseguenza di un sinistro stradale, quando detto costo non ecceda sproporzionatamente il valore commerciale che il mezzo stesso aveva al momento del sinistro.
Se da un lato non può imporsi al danneggiato di rottamare quando non pare possibile la riparazione contenuta entro il valore commerciale, dall’altro lato è altrettanto vero che “al debitore non può essere imposta sempre e comunque (a qualunque costo) la reintegrazione in forma specifica”. […..] Pur tenendo conto dell’interesse del danneggiato al ripristino del bene e della possibilità che i costi di tale ripristino si discostino anche in misura sensibile dal valore di scambio del bene, non può consentirsi che al danneggiato venga riconosciuto più di quanto necessario per elidere il pregiudizio subito”.
La Corte chiarisce che “la verifica dell’eccessiva onerosità non possa basarsi soltanto sull’entità dei costi, ma debba anche valutare se la reintegrazione in forma specifica comporti o meno una locupletazione per il danneggiato, tale da superare la finalità risarcitoria che le è propria e da rendere ingiustificata la condanna del debitore a una prestazione che ecceda notevolmente il valore di mercato del bene danneggiato”.
Nella prassi applicativa si registra con sempre maggior frequenza la disponibilità delle compagnie assicurative di favorire – ove concretamente possibile – l’esecuzione di riparazioni ‘in economia’ attraverso il riconoscimento di somme superiori al valore commerciale che permettono al danneggiato di ripristinare a regola d’arte il proprio mezzo senza doversi sobbarcare il costo, non sempre sostenibile, per l’acquisto di un altro veicolo nuovo o usato.
A titolo esemplificativo, è stato possibile ottenere in via stragiudiziale il rimborso di 3.000,00 euro per la riparazione a fronte di uno stimato valore commerciale del veicolo pari ad euro 2.500,00, o, ancora, il rimborso di euro 1.700,00 a fonte di uno stimato valore commerciale di euro 1.300,00.
Avv. Francesca Bimbatti