In materia condominiale, una tematica oggetto di attenzione è rappresentata dalla differenza tra il concetto di modifica per il migliore godimento della cosa comune, ex art. 1102 c.c. (norma dettata in tema di comunione ma applicabile al condominio ex art. 1139 c.c.) e la nozione di innovazione dei beni comuni, di cui all’art. 1120 c.c.
Le conseguenze pratiche della predetta diversità non sono di poco conto se si pone mente al fatto che l’art. 1102 riconosce a ciascun condomino la facoltà di fare un uso più intenso della cosa comune (concretamente, apportare modifiche e/o realizzare determinate opere a proprio esclusivo vantaggio), in assenza della necessità di ottenere l’autorizzazione degli altri partecipanti alla comunione (o al condominio). Al contrario, l’art. 1120 c.c. disciplina quelle modifiche ed innovazioni che, incidendo in modo rilevante sui beni comuni, non solo richiedono l’approvazione dell’assemblea, ma altresì richiedono che siffatta approvazione avvenga con maggioranze qualificate.
Negli anni più recenti si sono registrate diverse pronunce giudiziali che hanno avuto il pregio di disegnare i contorni delle predette norme, orientando gli operatori del diritto (ed i condomini) nel tracciare i limiti delle facoltà d’uso del singolo comproprietario: ciò, pur nella consapevolezza che ogni tentativo di generalizzazione si scontra con l’ineliminabile rilevanza delle peculiarità del caso concreto.
Le due fattispecie normative in discorso differiscono sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo.
Sotto il profilo oggettivo, mentre le innovazioni ex art. 1120 c.c. consistono in trasformazioni che incidono sull’essenza dei beni comuni, alterandone l’originaria destinazione, le modifiche che si riconducono nell’alveo dell’art. 1102 c.c. attengono, invece, ad opere volte ad ottenere una migliore e più razionale utilizzazione della cosa.
Sotto il profilo soggettivo, mentre alle innovazioni ex art. 1120 c.c. è sotteso un interesse collettivo che deve tradursi in una decisione assembleare sostenuta da una maggioranza qualificata, le modifiche di cui all’art. 1102 c.c. sono, al contrario, finalizzate a soddisfare un interesse individuale, per cui non occorre alcuna autorizzazione collegiale, salvo che tale autorizzazione sia imposta da un regolamento di natura contrattuale approvato da tutti i partecipanti al condominio (Cass. Civ. sez. 2 n. 4509/1997).
Le facoltà riconosciute al singolo condomino incontrano, poi, taluni limiti che si identificano nella necessità, da un lato, di non alterare la destinazione del bene comune e, dall’altro, nell’obbligo di consentire agli altri condomini un uso paritetico. Sotto tale ultimo aspetto, tuttavia, la giurisprudenza ha chiarito che la nozione di “pari utilizzo” va interpretata in modo elastico, tale per cui non si riferisce ad un uso identico o contestuale, quanto alla ragionevole previsione che gli altri comproprietari, nel caso di specie, vogliano accrescere in modo analogo il loro uso del bene comune. La giurisprudenza, infine, è granitica nel ritenere applicabile alle modifiche “individuali” ex art. 1102 c.c. l’ulteriore limite del divieto di realizzare opere che arrechino pregiudizio alla stabilità o sicurezza del fabbricato e che ne alterino il decoro architettonico, limite già previsto proprio in tema di innovazioni dall’art. 1120 comma 2 c.c. (tra le tante, Cass. Civ. n. 11445/2015).
Sulla scorta delle elaborazioni richiamate sono state ritenute compatibili con le facoltà di cui all’art. 1102 c.c. e, quindi, non oggetto di previa autorizzazione, l’apertura di finestre o la trasformazione di luci in vedute sulla corte comune (Cass. Civ. n. 13874/2010), l’apertura di un varco sul muro condominiale per consentire l’accesso ad una proprietà individuale (Cass. Civ. n. 11445/2015), nonché, da ultimo, la realizzazione di un terrazzo sul tetto condominiale (Cass. Civ. n. 36389/2022).
Al contrario, sono state considerate innovazioni vietate la sostituzione degli infissi esterni della facciata principale, originariamente in legno ed uniformi per tutto il fabbricato, con nuovi infissi in alluminio verniciati in bianco, ovvero la realizzazione di una veranda sulla facciata che presentava consistenti difformità, per materiali e colori, rispetto al modello tipo degli altri appartamenti.
In conclusione, è vero che, in termini teorici, la differenza tra le norme di cui all’art. 1102 e 1120 c.c. appare delineata e condivisa; è però altrettanto vero che, nella realtà di ogni condominio, il dibattito sul punto non può dirsi sopito, essendo, al contrario, foriero di continuo contenzioso.
Avv. Marco Poggiani